lunedì 31 maggio 2010

Sù Ming 17, Le lune urlanti e l’editore Casotti: preludio alla tormenta di merda, «Super Pulp», n.12, Dicembre 2010, pp.17-22.

Qualche mattina più tardi, come ogni mattina, Ingeborg entra nel bar di via Isonzo che sta proprio accanto alla casa editrice. Come ogni mattina, Inge ordina un caffè nero senza zucchero e una ciambella fritta per l’editore e un caffelatte e un cornetto vuoto per lei. Al bancone, seduti su degli sgabelli, ci sono due uomini che possono avere, occhio e croce, la stessa età di Inge o al massimo qualche anno in più. La segretaria tedesca, osservando i loro lineamenti e le sopracciglia folte, immagina che vengano dal sud Italia. I due uomini, nonostante siano appena le nove del mattino, stanno bevendo Campari soda. Sono vestiti allo stesso modo, in gessato con una t-shirt girocollo bianca sotto la giacca. Il più robusto ha attorno al collo una catena d’oro dagli anelli piuttosto grossi con una riproduzione in basso rilievo della Sacra Sindone. L’altro porta un ciondolo nero a forma di triangolo. Mentre Inge attende di essere servita i due ridono e parlano così piano che, pur trovandosi a meno di un metro da loro, la ragazza non riesce a capire quello che si dicono. Il più robusto, che le dà le spalle, ogni tanto si volta verso di lei. L’altro guarda in basso e, solo mentre se ne sta andando con il vassoio dei caffè e dei cornetti, Inge inizia a sospettare che le stesse fissando i piedi (la Moëller ricorda che quel giorno, sebbene fosse ancora inverno, faceva molto caldo e che lei aveva messo i sandali).

La ragazza cammina a passo svelto, come se avesse paura di essere seguita. Suona al citofono, le viene aperto e si inoltra rapidamente all’interno dell’edificio. Mentre sta per infilare la porta dell’appartamento che ospita la casa editrice, si accorge di non aver sentito chiudersi il portone d’ingresso. Si gira e vede due figure che, nonostante il semibuio dell’androne, riconosce come i due uomini in gessato che aveva già incontrato al bar. La ragazza entra nell’appartamento e sente, a pochi centimetri dal suo orecchio, la voce di uno dei due uomini che dice, prego, e con la coda dell’occhio vede la mano dell’uomo che impedisce alla porta di richiudersi e, allora, fa tremare il vassoio quel tanto che basta affinché il cappuccino trabocchi dalla tazza. Inge accelera in direzione dell’ufficio di Casotti e questa volta riesce a chiudere la porta alle sue spalle e, dopo averlo fatto, dà due mandate di chiave e intanto, fuori dall’ufficio, la stessa voce di prima urla, dobbiamo parlare con Casotti. Poi la ragazza appoggia il vassoio sulla scrivania dell’editore e cerca di parlare, ma prima deve fare quattro o cinque respiri profondi, perché le manca il fiato, non come accade dopo una corsa, ma come succede a chi sta per avere un infarto, e quando inizia a parlare le viene fuori una vocina flebile e spezzata che dice, mi hanno seguita… due uomini… la cercano… cosa devo fare? L’editore, con un tono che non fa trapelare preoccupazione, ma nemmeno tranquillità, forse solo una certa rassegnazione, le risponde di tornare nell’atrio e di chiedere i loro nomi.

Ingeborg vorrebbe rifiutare, vorrebbe licenziarsi in quel momento e saltare giù dalla finestra dell’ufficio e poi mettersi a passeggiare per le strade soleggiate di Roma e dimenticarsi di Alessandro Casotti e di quella buffonata di casa editrice, ma per quel malsano senso del dovere misto a imbarazzo che è il senso del dovere teutonico, senso del dovere che se non ha portato al nazismo sicuramente lo ha alimentato - come sostiene la Moëller in un passo del suo libro - , ubbidisce.

I due uomini sono seduti sulle due poltroncine di pelle nera dell’atrio, proprio di fronte allo studio dell’editore. Inge nota che portano due cappelli di feltro Borsalino, uno grigio, l’altro marrone. Chi siete? chiede. Il più secco dei due si alza, rassetta la giacca e si schiarisce la voce, ma è l’altro a parlare: lui è il signor Tinajero, dice, e ride, e poi aggiunge, io sono il suo manager. La tensione che Inge si sentiva addosso svapora all’istante e sul suo volto compare un accenno di sorriso, o forse una smorfia di disgusto, o più probabilmente una smorfia di disgusto che è al tempo stesso un accenno di sorriso. La ragazza scuote la testa e sposta la sua attenzione sull’uomo alzato. Non riesce a incontrarne lo sguardo, perché tiene il capo inclinato e la falda del capello gli copre gli occhi. Tinajero… Arturo Tinajero? domanda la ragazza e pensa, infastidita, che l’uomo di sicuro le sta osservando i piedi. Certo, risponde il presunto manager, abbiamo un appuntamento con il capo per le nove e mezza. Con l’editore, interviene Arturo Tinajero, ci aveva fissato un appuntamento alle nove e mezza, siamo in orario, vero? La sua voce, pensa la segretaria, è quella di chi ha almeno un chilo e mezzo di catarro nei bronchi. Siete in anticipo, gli risponde, e scuote di nuovo la testa, ma entrate, prego, entrate.

Mentre fa accomodare i due nello studio di Casotti, Inge sente arrivare dalla bocca di Tinajero - ma stranamente non da quella del presunto manager - un insopportabile fetore di alcol e di nicotina mischiati insieme, come se avesse fatto baldoria tutta la notte e non fosse andato a dormire (congettura della Moëller, questa, che troverà conferma pochi giorni più tardi nelle parole di Arturo).

I due uomini stringono la mano all’editore. Piacere Arturo Tinajero, dice Tinajero. Piacere Capparelli Domenico, dice l’altro. Piacere Alessandro Casotti, dice l’editore, ma lei chi è? Capparelli Domenico, manager del signor Tinajero, dice Capparelli, e tira fuori da chissà dove tre bottigliette di Campari soda. Le stappa con un accendino, facendo cadere i tappi sul pavimento, e ne passa una ad Alessandro Casotti. Non si preoccupi ho già il mio caffè, dice Casotti. Se vogliamo andare d’accordo deve bere capo, risponde Capparelli, che si accende una sigaretta e aggiunge: si può fumare? La Moëller gli allunga un posacenere e poi dice: vado a prendere le bozze del romanzo.

Quando torna nello studio, Capparelli e Casotti sono in piedi, l’uno di fronte all’altro. Il primo, con le dita tra le quali tiene la sigaretta, disegna in aria delle forme indecifrabili, e cerca di convincere il secondo: La puttana assassina… organo ufficiale del Terrorismo sentimentale… vendiamo un casino di copie… garantito al melone. Le ho già spiegato che non pubblico riviste, risponde l’editore, non si può proprio fare, e poi le riviste cartacee non vanno più, provate con internet. Tinajero se ne sta seduto su una sedia accanto alla finestra, ogni tanto guarda fuori e ogni tanto guarda gli altri due, e sorride, anzi sorride e ride insieme, e la segretaria tedesca, mentre lo osserva con una tenerezza che forse deriva da un principio di attrazione o forse è solo una forma di istinto materno – come scrive la Moëller nel suo libro - , pensa che sia più che naturale che ognuno di quei sorrisi debba sfociare in una risata, ma poi si convince che non è affatto così e che è evidente che Tinajero sorride e ride in quel modo perché non gli è ancora passata la sbronza della sera prima (congettura, quest’ultima, che verrà sconfessata pochi giorni più tardi).

Niente rivista, niente romanzo, dice Capparelli, mi dispiace. L’editore sta per ribattere qualcosa, ma si accorge che Arturo Tinajero ha già raggiunto la porta dello studio. Allora, con la bocca e gli occhi spalancati come quelli di un sommozzatore a cui abbiano improvvisamente staccato la bombola dell’ossigeno, si alza in piedi e dice: Arturo! Tinajero si ferma. Conosci Sigfrid Zickler? gli chiede Casotti, ma pronuncia quelle tre parole come se la sua non fosse una domanda, bensì un messaggio in codice. Tinajero non risponde e continua a non muoversi. Capparelli, che è ancora seduto, ma girato in direzione dell’amico, rimane immobile anche lui. Durante quella parentesi di immobilità e silenzio a Inge arrivano le mestruazioni, accadimento al quale la ragazza in un secondo momento attribuirà un valore epifanico, ma che lì per lì liquida come l’ennesima secchiata di letame in una giornata che è stata un continuo susseguirsi di secchiate di letame e che rappresenta il culmine di un mese che è stato un’immersione ininterrotta in un pantano di letame.

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