lunedì 31 maggio 2010

Sù Ming 17, Le lune urlanti e l’editore Casotti: preludio alla tormenta di merda, «Super Pulp», n.12, Dicembre 2010, pp.17-22.

Qualche mattina più tardi, come ogni mattina, Ingeborg entra nel bar di via Isonzo che sta proprio accanto alla casa editrice. Come ogni mattina, Inge ordina un caffè nero senza zucchero e una ciambella fritta per l’editore e un caffelatte e un cornetto vuoto per lei. Al bancone, seduti su degli sgabelli, ci sono due uomini che possono avere, occhio e croce, la stessa età di Inge o al massimo qualche anno in più. La segretaria tedesca, osservando i loro lineamenti e le sopracciglia folte, immagina che vengano dal sud Italia. I due uomini, nonostante siano appena le nove del mattino, stanno bevendo Campari soda. Sono vestiti allo stesso modo, in gessato con una t-shirt girocollo bianca sotto la giacca. Il più robusto ha attorno al collo una catena d’oro dagli anelli piuttosto grossi con una riproduzione in basso rilievo della Sacra Sindone. L’altro porta un ciondolo nero a forma di triangolo. Mentre Inge attende di essere servita i due ridono e parlano così piano che, pur trovandosi a meno di un metro da loro, la ragazza non riesce a capire quello che si dicono. Il più robusto, che le dà le spalle, ogni tanto si volta verso di lei. L’altro guarda in basso e, solo mentre se ne sta andando con il vassoio dei caffè e dei cornetti, Inge inizia a sospettare che le stesse fissando i piedi (la Moëller ricorda che quel giorno, sebbene fosse ancora inverno, faceva molto caldo e che lei aveva messo i sandali).

La ragazza cammina a passo svelto, come se avesse paura di essere seguita. Suona al citofono, le viene aperto e si inoltra rapidamente all’interno dell’edificio. Mentre sta per infilare la porta dell’appartamento che ospita la casa editrice, si accorge di non aver sentito chiudersi il portone d’ingresso. Si gira e vede due figure che, nonostante il semibuio dell’androne, riconosce come i due uomini in gessato che aveva già incontrato al bar. La ragazza entra nell’appartamento e sente, a pochi centimetri dal suo orecchio, la voce di uno dei due uomini che dice, prego, e con la coda dell’occhio vede la mano dell’uomo che impedisce alla porta di richiudersi e, allora, fa tremare il vassoio quel tanto che basta affinché il cappuccino trabocchi dalla tazza. Inge accelera in direzione dell’ufficio di Casotti e questa volta riesce a chiudere la porta alle sue spalle e, dopo averlo fatto, dà due mandate di chiave e intanto, fuori dall’ufficio, la stessa voce di prima urla, dobbiamo parlare con Casotti. Poi la ragazza appoggia il vassoio sulla scrivania dell’editore e cerca di parlare, ma prima deve fare quattro o cinque respiri profondi, perché le manca il fiato, non come accade dopo una corsa, ma come succede a chi sta per avere un infarto, e quando inizia a parlare le viene fuori una vocina flebile e spezzata che dice, mi hanno seguita… due uomini… la cercano… cosa devo fare? L’editore, con un tono che non fa trapelare preoccupazione, ma nemmeno tranquillità, forse solo una certa rassegnazione, le risponde di tornare nell’atrio e di chiedere i loro nomi.

Ingeborg vorrebbe rifiutare, vorrebbe licenziarsi in quel momento e saltare giù dalla finestra dell’ufficio e poi mettersi a passeggiare per le strade soleggiate di Roma e dimenticarsi di Alessandro Casotti e di quella buffonata di casa editrice, ma per quel malsano senso del dovere misto a imbarazzo che è il senso del dovere teutonico, senso del dovere che se non ha portato al nazismo sicuramente lo ha alimentato - come sostiene la Moëller in un passo del suo libro - , ubbidisce.

I due uomini sono seduti sulle due poltroncine di pelle nera dell’atrio, proprio di fronte allo studio dell’editore. Inge nota che portano due cappelli di feltro Borsalino, uno grigio, l’altro marrone. Chi siete? chiede. Il più secco dei due si alza, rassetta la giacca e si schiarisce la voce, ma è l’altro a parlare: lui è il signor Tinajero, dice, e ride, e poi aggiunge, io sono il suo manager. La tensione che Inge si sentiva addosso svapora all’istante e sul suo volto compare un accenno di sorriso, o forse una smorfia di disgusto, o più probabilmente una smorfia di disgusto che è al tempo stesso un accenno di sorriso. La ragazza scuote la testa e sposta la sua attenzione sull’uomo alzato. Non riesce a incontrarne lo sguardo, perché tiene il capo inclinato e la falda del capello gli copre gli occhi. Tinajero… Arturo Tinajero? domanda la ragazza e pensa, infastidita, che l’uomo di sicuro le sta osservando i piedi. Certo, risponde il presunto manager, abbiamo un appuntamento con il capo per le nove e mezza. Con l’editore, interviene Arturo Tinajero, ci aveva fissato un appuntamento alle nove e mezza, siamo in orario, vero? La sua voce, pensa la segretaria, è quella di chi ha almeno un chilo e mezzo di catarro nei bronchi. Siete in anticipo, gli risponde, e scuote di nuovo la testa, ma entrate, prego, entrate.

Mentre fa accomodare i due nello studio di Casotti, Inge sente arrivare dalla bocca di Tinajero - ma stranamente non da quella del presunto manager - un insopportabile fetore di alcol e di nicotina mischiati insieme, come se avesse fatto baldoria tutta la notte e non fosse andato a dormire (congettura della Moëller, questa, che troverà conferma pochi giorni più tardi nelle parole di Arturo).

I due uomini stringono la mano all’editore. Piacere Arturo Tinajero, dice Tinajero. Piacere Capparelli Domenico, dice l’altro. Piacere Alessandro Casotti, dice l’editore, ma lei chi è? Capparelli Domenico, manager del signor Tinajero, dice Capparelli, e tira fuori da chissà dove tre bottigliette di Campari soda. Le stappa con un accendino, facendo cadere i tappi sul pavimento, e ne passa una ad Alessandro Casotti. Non si preoccupi ho già il mio caffè, dice Casotti. Se vogliamo andare d’accordo deve bere capo, risponde Capparelli, che si accende una sigaretta e aggiunge: si può fumare? La Moëller gli allunga un posacenere e poi dice: vado a prendere le bozze del romanzo.

Quando torna nello studio, Capparelli e Casotti sono in piedi, l’uno di fronte all’altro. Il primo, con le dita tra le quali tiene la sigaretta, disegna in aria delle forme indecifrabili, e cerca di convincere il secondo: La puttana assassina… organo ufficiale del Terrorismo sentimentale… vendiamo un casino di copie… garantito al melone. Le ho già spiegato che non pubblico riviste, risponde l’editore, non si può proprio fare, e poi le riviste cartacee non vanno più, provate con internet. Tinajero se ne sta seduto su una sedia accanto alla finestra, ogni tanto guarda fuori e ogni tanto guarda gli altri due, e sorride, anzi sorride e ride insieme, e la segretaria tedesca, mentre lo osserva con una tenerezza che forse deriva da un principio di attrazione o forse è solo una forma di istinto materno – come scrive la Moëller nel suo libro - , pensa che sia più che naturale che ognuno di quei sorrisi debba sfociare in una risata, ma poi si convince che non è affatto così e che è evidente che Tinajero sorride e ride in quel modo perché non gli è ancora passata la sbronza della sera prima (congettura, quest’ultima, che verrà sconfessata pochi giorni più tardi).

Niente rivista, niente romanzo, dice Capparelli, mi dispiace. L’editore sta per ribattere qualcosa, ma si accorge che Arturo Tinajero ha già raggiunto la porta dello studio. Allora, con la bocca e gli occhi spalancati come quelli di un sommozzatore a cui abbiano improvvisamente staccato la bombola dell’ossigeno, si alza in piedi e dice: Arturo! Tinajero si ferma. Conosci Sigfrid Zickler? gli chiede Casotti, ma pronuncia quelle tre parole come se la sua non fosse una domanda, bensì un messaggio in codice. Tinajero non risponde e continua a non muoversi. Capparelli, che è ancora seduto, ma girato in direzione dell’amico, rimane immobile anche lui. Durante quella parentesi di immobilità e silenzio a Inge arrivano le mestruazioni, accadimento al quale la ragazza in un secondo momento attribuirà un valore epifanico, ma che lì per lì liquida come l’ennesima secchiata di letame in una giornata che è stata un continuo susseguirsi di secchiate di letame e che rappresenta il culmine di un mese che è stato un’immersione ininterrotta in un pantano di letame.

lunedì 24 maggio 2010

Sù Ming 17, Le lune urlanti e l’editore Casotti: preludio alla tormenta di merda, «Super Pulp», n.12, Dicembre 2010, pp.12-17.

Lei sorride, mi sembra che abbia qualcosa da dire, lo dica pure, fa Costanzo. Non vorrei apparire scortese o essere inutilmente polemico, dice Casotti senza smettere di sorridere. Prego, prego, non si preoccupi. Ok, allora, prima di tutto, lei mi prende per uno sprovveduto: non sarò un grande lettore, ma sono perfettamente in grado di capire che Carver scrive bene, meravigliosamente bene, se è per questo, ma il suo problema è che non rischia mai, mai, si ferma sempre prima di avere il tempo di dire qualcosa; Carver, e con lui i suoi personaggi, è terrorizzato, ma la sua non è semplice paura, è più che legittimo avere paura, anzi, sarebbe stupido non averne, però quella di Carver è una paura vigliacca, è la paura di avere paura, che gli fa scrivere quelle storielline esili esili e inutili, che ci fanno sentire tanto intelligenti solo perché sembrano dire chissà cosa, ma in verità non ci rivelano nulla, tranne forse che il loro autore mentre scrive se la sta facendo sotto. Non le sembra di esagerare, interviene Costanzo, e poi non riesco a capire ancora il legame tra quello che mi sta raccontando e la decisione di aprire una casa editrice. Guardi, per me, spiega Casotti, scrivere equivale a ridere in faccia alla morte e per farlo bisogna realizzare opere di grande respiro con figure eroiche in grado di sfidare il sentire comune, eroi che sono in grado di martoriare il cadavere del nemico davanti agli occhi del padre di quest’ultimo, senza sentirsi in colpa, sfidando il giudizio degli uomini e degli dei, è questa la letteratura che voglio pubblicare. Costanzo ora cerca di rispondere, ma vedendo Casotti alzarsi in piedi e riprendere a parlare, si blocca. Che senso hanno, continua l’editore, quelle storie che non fanno altro che ricordarci la miseria quotidiana, che non fanno altro che giustificare i deboli e i vigliacchi, di cui sono un perfetto esempio i raccontini di Carver, raccontini che già è tanto se sono in grado di ridere in faccia a un sonnellino pomeridiano, figuriamoci alla morte. L’enfasi con cui Casotti argomenta la sua tesi appare del tutto fuori luogo. Gli altri due ospiti dello show, la giovane attrice italiana Carolina Crescentini e il quasi altrettanto giovane poeta svizzero Flavio Stroppini, ridacchiano. Costanzo dice, apprezzo la passione, ma al suo posto sarei un po’ più moderato nei giudizi. Casotti chiede scusa e si risiede. Per il resto della trasmissione rimane in silenzio, fatta eccezione per alcune risposte monosillabiche (sì, no, boh) a domande che gli vengono poste per pura formalità, dato che ormai appare chiaro a tutti nello studio televisivo che Casotti non è altro che un parvenu destinato a scomparire dalla scena abbastanza velocemente e senza suscitare clamori, considerazione che, se non fosse stato per Le lune urlanti, avrebbe fuor di dubbio trovato riscontro nella realtà.
L’avventura editoriale di Casotti comincia a tutti gli effetti nell’Aprile 2006 con la pubblicazione contemporanea di tre titoli che, a dispetto delle dichiarazioni rilasciate al Maurizio Costanzo Show, non sono romanzi, ma saggi. Il testo più curioso è senz’altro L’amore ai tempi del didgeridoo, un reportage sul rituale di innamoramento tra gli aborigeni della regione australiana del Barindji che si basa appunto sull’utilizzo del didgeridoo, uno strumento musicale che consiste nella sua forma originaria in un ramo di eucalipto scavato dalle termiti, ma che può essere realizzato con diversi materiali. I’m not a princess, I’m not a whore ha dei punti in comune con L’amore ai tempi del didgeridoo: ha anch’esso la forma del reportage ed è incentrato su storie d’amore. Le protagoniste di questo titolo sono ragazze omosessuali di Napoli, Roma e Milano che, oltre alle tendenze sessuali, condividono l’appartenenza al mondo Emo. Il terzo libro si distacca dai primi due, sia per le tematiche che per l’approccio metodologico. Il suo titolo è Rabbia Coatta ed è uno studio corredato da cifre e statistiche sul contributo al benessere sociale dell’Italia offerto dalla destra militante extraparlamentare nell’ultimo decennio. Il primo titolo è una traduzione di Didgeridoo’s Love dell’illustratrice di favole per bambini australiana Arabella Percy, il secondo è firmato dalla scrittrice milanese di horror erotici Lucia D. e il terzo è opera di un certo Elia Sarfatti, occupante di Casa Pound (il centro sociale di destra) e ultrà diffidato della Curva Nord. Le prime pubblicazioni di Maximum Fax ricevono diverse recensioni sulle testate nazionali, ma la scarsa distribuzione – i volumi sono reperibili, in un numero limitato di copie, solo presso le Feltrinelli e le Fnac, anche se possono essere ordinati in qualsiasi libreria – non favorisce le vendite. Il miglior risultato lo ottiene Rabbia Coatta, grazie allo strascico di polemiche su internet e su Alias (l’inserto culturale del Manifesto) susseguente all’occupazione della sede di Maximum Fax da parte dei giovani dei centri sociali di sinistra romani che reputano la pubblicazione del libro di Sarfatti un atto anticostituzionale e accusano Casotti di essere un fautore della riabilitazione del fascismo. Il totale delle vendite della casa editrice nel 2006 (anno in cui non usciranno altri titoli) non arriva alle tremila copie. Nel 2007 Maximum Fax pubblica ventisei titoli, tutti romanzi, uniti tra loro da due elementi: la fantascienza e l’esaltazione di valori veterofascisti quali la violenza, lo spirito di corpo, il sacrificio e la repulsione per il diverso, repulsione che è indirizzata nella quasi totalità dei casi a ripugnanti razze aliene o a non morti di vario genere, dietro ai quali però si possono facilmente riconoscere, a seconda del romanzo, gli ex-democristiani, i cinesi, gli americani, i capitalisti, i comunisti, gli ebrei, gli anziani e addirittura, nei due libri a firma di Gabriele Carmagnoli, pugliese di Andria, attualmente sceneggiatore di Un posto al sole, le donne e i bambini. Nel 2007 i titoli di Maximum Fax non sono affatto presenti in libreria, si possono acquistare, solo previa ordinazione, nei punti vendita Feltrinelli e Fnac e via internet sul sito della casa editrice. I ventisei romanzi vengono ignorati dalla stampa nazionale, alcune recensioni appaiono su quotidiani regionali, con buona probabilità ad opera di amici e parenti degli autori. Di Maximum Fax si occupa anche qualche blog di fantascienza, che però ne denigra le pubblicazioni - la cui qualità non è eccelsa ma tutto sommato nella media della narrativa fantascientifica italiana - a causa del loro orientamento politico ideologico. Nel Gennaio 2008, Casotti, forse convinto che i suoi insuccessi siano dovuti all’ostruzione delle lobby culturali di sinistra, decide di pubblicare il romanzo del blogger Trotsky, Il Grande Vecchio, destinato a scatenare chiassosi dibattiti che si estenderanno dall’ambito giornalistico e accademico a quello più strettamente politico, tanto che ben due sedute del Parlamento verranno dedicate al libro.
Nella prima parte de Il Grande Vecchio viene spiegato come i soldati italiani dati per dispersi nella Campagna di Russia in realtà non siano morti, ma si siano fermati a vivere in Unione Sovietica ed abbiano abbracciato con entusiasmo gli ideali comunisti. La seconda parte descrive con la struttura di un giallo le indagini di un detective sugli omicidi dei parlamentari (che muoiono tutti senza che il detective e le forze dell’ordine e i servizi segreti riescano a identificare l’assassino o a prevenire gli omicidi) dell’Italia del 2007. Nella terza parte viene scoperto che gli assassini non sono altro che i fantasmi dei soldati dati per dispersi in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale, guidati dal Grande Vecchio. Nella quarta parte i fantasmi conquistano la Repubblica Italiana con grande soddisfazione della popolazione e dei governanti delle altre nazioni e instaurano un regime libertario che viene chiamato Comunismo Mistico. Nella quinta e ultima parte c’è una doppia, quasi tripla, rivelazione: il Grande Vecchio è il fantasma di Aldo Moro il quale dichiara di essere stato in vita l’eminenza grigia delle Brigate Rosse e che il suo omicidio altro non era che parte del rituale che ha permesso a lui e ai dispersi della campagna di Russia di tornare sulla Terra sotto forma di fantasmi. La postfazione illustra un complesso rapporto tra le Brigate Rosse e alcune sette esoteriche del passato, la prima delle quali è quella dei Pitagorici.
Nonostante il clamore che accompagna la sua uscita, Il Grande Vecchio non vende più di cinquemila copie, un risultato incoraggiante per un editore piccolo come Maximum Fax, ma insufficiente a Casotti per fronteggiare i suoi creditori.
Sempre a Gennaio, Alessandro Casotti licenzia tutti i suoi dipendenti, fatta eccezione per la segretaria Ingeborg Moëller, ventiquattrenne tedesca laureata in letteratura italiana all’università di Berlino. Pur essendo intenzionato a non pubblicare più alcunché, continua a pagare l’affitto dell’appartamento al pian terreno di via Isonzo 57, dove ha sede la Maximum Fax, e trascorre le giornate chiuso nel suo ufficio a leggere manoscritti di aspiranti scrittori. Dato che non le viene affidata alcuna mansione, la Moëller inizia a sospettare che l’editore sia impazzito e decide di rassegnare le dimissioni. Casotti le spiega che a causa di accordi presi con i suoi creditori (che l’editore però chiama finanziatori), di cui non può svelare la natura, la casa editrice dovrà rimanere in piedi, almeno formalmente, fino ai primi di Luglio e la prega di non abbandonarlo. Le propone, inoltre, di coadiuvarlo nella lettura dei manoscritti e le offre un aumento. Quando Ingeborg gli chiede a quale scopo dovrebbero continuare a visionare i testi se non hanno la possibilità di pubblicarli, Casotti risponde che per puro spirito filantropico, o per amore della letteratura, potranno segnalare i migliori a qualche altra casa editrice. Inge è ancora più convinta che l’editore abbia qualche rotella fuori posto, ma per pietà – come spiega nel suo libro Maximum Fax. Una casa editrice ai margini della storia, Fandango Libri, Roma, 2010 – decide di rimanere al suo fianco, rifiutando però l’aumento di stipendio. Il tre di Marzo Casotti sottopone un testo all’attenzione della sua segretaria. La Moëller, dopo aver letto scrupolosamente, dice che secondo lei il testo presenta qualche spunto interessante, ma che la qualità della scrittura è pessima e la trama è troppo contorta. Quindi nessuna casa editrice sarebbe disposta a pubblicarlo? le chiede Casotti. Nemmeno a pagamento, risponde la Moëller. Come pensavo, dice l’editore, allora dovremo pubblicarlo noi. La serietà con cui l’editore pronuncia questa frase non ammette repliche, ricorda la Moëller nel suo libro. Casotti aggiunge: ho delle risorse, so dove trovare dei finanziamenti, ma dobbiamo farlo arrivare in libreria a Maggio. Perché tanta fretta? chiede la segretaria e mentre lo chiede vede negli occhi dell’editore una luce strana, una luce che, forse per la suggestione, forse perché realmente ha quel colore, scrive la Moëller, le sembra dello stesso rosso delle spade laser di Guerre Stellari, come se dalle pupille dell’editore, da un momento all’altro, dovessero venire fuori dei raggi inceneritori. Quando Casotti le risponde, perché d’estate la gente non legge, perché d’estate la gente va al mare, Ingeborg tira un sospiro di sollievo e si ripromette di non fare altre domande riguardo alla pubblicazione del manoscritto. Il manoscritto in questione è Le lune urlanti di Arturo Tinajero.

martedì 11 maggio 2010

Dopo Roberto Bolaño, Arturo Tinajero

Se la prima esclusiva de “La puttana assassina” è stato il racconto di un autore prematuramente scomparso (Il contorno del’occhio di Roberto Bolaño), la seconda è un’anticipazione di un lungo articolo su Arturo Tinajero, il noto autore de Le lune urlanti, svanito nel nulla prima di compiere trent’anni.

Dell’italianissimo Tinajero (ormai è stato fugato ogni dubbio a tal proposito, la j è un refuso dell’anagrafe) si è parlato fino alla nausea, ma il numero monografico di «Super Pulp» di dicembre, intitolato Le lune urlanti e l’editore Casotti: preludio alla tormenta di merda, è il primo a far luce sulla figura di Casotti, sulle connessioni tra lui, Tinajero e gli eventi politico-economici degli ultimi anni.

«La puttana assassina» ve ne offre un lungo estratto (all’incirca 20 pagine) che verrà pubblicato in tre diversi post a scadenza settimanale.

Quasi dimenticavo, l’autore dell’articolo è Su Ming 17 (che ha abbandonato di recente il collettivo Su Ming): ringraziamo lui e la redazione di «Super Pulp» per la disponibilità.

Sù Ming 17, Le lune urlanti e l’editore Casotti: preludio alla tormenta di merda, «Super Pulp», n.12, Dicembre 2010, pp.5-12.

Si è molto discusso negli ultimi mesi riguardo al valore letterario de Le lune urlanti di Arturo Tinajero.

C’è chi ha affermato che si tratta di un esordio un po’ acerbo, ma nel quale l’autore mostra grandi potenzialità.

C’è chi l’ha descritta come un’opera ingenua e di un manierismo nauseante.

C’è chi l’ha definito semplicemente un romanzo orrendo.

C’è chi si è spinto più in là e lo ha apostrofato come “una fuffa indigeribile”.

Infine, c’è chi si è chiesto se abbia ancora senso parlare di valore letterario quando un romanzo prevede il futuro, o determina il futuro, o parzialmente lo prevede e parzialmente lo determina, in maniera così precisa ed evidente.

Io credo piuttosto che, dopo l’uscita de Le lune urlanti, bisognerebbe riflettere sull’opportunità di ridefinire i canoni del valore letterario.

Per sviluppare una riflessione costruttiva è indispensabile soffermarsi sul destino editoriale di quest’opera e sulle vicende biografiche del suo editore originario, figura enigmatica quasi quanto quella di Arturo Tinajero.

Le lune urlanti viene pubblicato per la prima volta nel Maggio del 2008 per i tipi di Maximum Fax, piccola casa editrice romana con una distribuzione pressoché nulla. Maximum Fax indica già nel nome la propria linea editoriale: il rifiuto categorico di tutta la narrativa minimalista e la predilezione, invece, per le storie massimaliste, che non solo raccontano avvenimenti di proporzioni nazionali, continentali, planetarie o, ancora meglio, interplanetarie, ma che lo fanno con uno stile barocco, ridontante, virtuosistico o, talvolta, perfino aulico.

Maximum Fax viene fondata a Roma nel Febbraio del 2006 da Alessandro Casotti, nato ad Asiago in provincia di Vicenza il 7 Marzo del 1971. Casotti proviene da una famiglia benestante, proprietaria di numerosi immobili nel vicentino. Il padre di Casotti, Luciano, è un dentista, la madre, Eva, non lavora, ma si dedica con tutta se stessa alla promozione della cultura nell’Altopiano asiaghese, organizzando letture pubbliche, concerti di musica classica e dibattiti filosofici. Il fiore all’occhiello della signora Casotti, però, è il suo salotto, uno dei meglio frequentati del nord Italia. Almeno una volta alla settimana vi si possono incontrare lo scrittore Mario Rigoni Stern e il regista Ermanno Olmi, entrambi residenti nell’Altopiano, ma innumerevoli sono le visite di intellettuali provenienti dal resto della penisola come, ad esempio, Umberto Eco, Pietro Citati, Carla Benedetti, Grazia Cherchi, Roberto Calasso, Oriana Fallaci, Fernanda Pivano, Giovanni Rana, Enzo Siciliano, il filosofo Mario Perniola, i critici cinematografici Roberto Escobar e Lorenzo Pellizzari e l’ antropologo catanese Giovanni Barabba. Il salotto dei Casotti ha l’onore di annoverare anche ospiti internazionali come lo scrittore e sceneggiatore messicano Juan Rulfo, il vate della letteratura albanese Ismail Kadaré e il poeta post-situazionista tedesco Franz Zickler.

Durante i veri e propri eventi che sono le riunioni serali nel salotto dei Casotti, la signora Eva costringe il piccolo Alessandro a starsene chiuso nella sua camera da letto, sotto il controllo della cameriera Linda. Il bambino non mostra segni di insofferenza, ma questa costrizione avrà delle conseguenze. Negli anni della sua adolescenza, quando sua madre lo inviterà ad unirsi agli illustri ospiti del loro salotto, Alessandro declinerà sempre l’invito e proverà repulsione per qualsiasi cosa che abbia a che fare, anche lontanamente, con la cultura.

Dopo aver conseguito il diploma di scuola media inferiore con il massimo dei voti, Alessandro Casotti si iscrive al Liceo Scientifico. Il suo rendimento scolastico peggiora notevolmente. Per i primi quattro anni del liceo viene sempre rimandato a settembre. Durante questo periodo non legge nemmeno un libro, soltanto riviste automobilistiche. Passa i pomeriggi a parlare di automobili e a bere birra con il suo amico Enrico Zanini, detto Il Gomma, che lavora come apprendista in un’officina meccanica. Respinge gli inviti ad uscire di ben nove ragazze. Una di loro, per vendicarsi, diffonde il pettegolezzo secondo il quale Alessandro le ha confessato di essere omosessuale. In quinta superiore, nonostante le pressioni esercitate sui professori dalla sua famiglia, non viene ammesso agli esami di maturità. Ad agosto i suoi genitori vanno a Formentera per tre settimane e lo lasciano ad Asiago con la sola compagnia della cameriera Linda. Nelle loro intenzioni questa sarebbe una punizione, ma in realtà Alessandro non potrebbe ricevere un regalo più gradito. Linda e il futuro editore Casotti hanno una relazione sessuale clandestina da quando lui aveva tredici anni. Ora possono spassarsela per tre settimane intere senza la paura di essere scoperti. A Ferragosto, mentre i due stanno facendo sesso su uno dei tappeti indiani della sala da pranzo, qualcuno suona il campanello. Si rivestono in fretta e furia, per paura che i signori Casotti siano rientrati in anticipo. Quando Linda va ad aprire si trova davanti il poeta Franz Zickler. Zickler chiede dei genitori di Alessandro e la cameriera risponde che sono in vacanza. Zickler rimane fermo davanti alla porta, si gratta la testa e guarda un punto qualsiasi sospeso nel vuoto. Poi domanda, oggi non è il quindici settembre, vero? e senza dare il tempo alla donna di rispondere aggiunge, mi sa che ho sbagliato mese. Alessandro raggiunge il poeta e la cameriera sull’uscio di casa. Conosce Franz di vista, ma non gli ha mai rivolto la parola. Lo invita a pranzo. Questo incontro avrà un peso fondamentale per la pubblicazione de Le lune urlanti. Zickler ha solo ventitre anni ed è un grande conversatore. Il giovane Casotti ne è affascinato. Si interessa soprattutto alle storie su un avo di Franz, un misconosciuto critico letterario e storico tedesco, Sigfrid Zickler. Quella sera Alessandro, Linda e Franz vanno al cinema. Cenano insieme in un ristorante sul lago Spillek. Bevono molta grappa. Franz Zickler dorme a casa Casotti, ma la abbandona prima che i suoi ospiti si sveglino. Lascia sul letto un dattiloscritto intitolato Quando Achille ucciderà i sogni di Amleto. Il ritorno della cultura violenta e lo svelamento del passato obnubilato di Sigfrid Zickler. Sopra ai fogli c’è un bigliettino che dice, Un piccolo dono in cambio di un’ospitalità suntuosa. Il dattiloscritto è frutto di una traduzione piuttosto grossolana (dal tedesco all’italiano), ma il futuro editore Casotti ne è rapito. Lo legge sedici volte, ma questo non fa nascere in lui una passione per la lettura: rimane convinto che la quasi totalità dei libri siano una grossa perdita di tempo. Prima della fine dell’estate Franz Zickler muore per provare a una ragazza il suo amore. Casotti lo verrà a sapere a distanza di quasi due decenni da Arturo Tinajero.

L’anno successivo Alessandro si diploma con la votazione di 40/60. I genitori sono ancora più delusi che dopo la bocciatura, ma continuano ad avere fiducia in lui. Probabilmente grazie a una raccomandazione, Alessandro riesce ad accedere al Politecnico di Torino, alla facoltà di Ingegneria meccanica. Il ragazzo chiede che Linda, all’epoca trentunenne, lo segua in Piemonte, per badare alla pulizia dell’appartamento che i genitori gli hanno regalato. Luciano ed Eva acconsentono. Linda naturalmente è d’accordo. Dopo due anni, i signori Casotti vengono a conoscenza del rapporto tra la cameriera e loro figlio (che non saprà mai come abbiano fatto a scoprirli) e decidono di denunciare la donna per adescamento. Alessandro minaccia i propri genitori di denunciarli per pedofilia. I genitori, in parte preoccupati e in parte disgustati dalla reazione del figlio, lo informano che se non si separerà dalla cameriera verrà diseredato. Il ragazzo si mostra inflessibile e rimane con Linda. I genitori gli dicono di non farsi vedere mai più. Il ragazzo risponde che diseredarlo è immorale. Loro ribattono che, in tal caso, spenderanno tutto prima di morire.
Ad Alessandro rimangono l’appartamento di Torino e un conto personale di trecento milioni di lire. Una truffa alla nigeriana riduce il suo patrimonio da trecento milioni a duecento. Alessandro è così intimorito dai truffatori che non segnala il fatto alle autorità. Frequenta l’università per altri due anni, senza sostenere nemmeno un esame, dopodichè, vende l’appartamento di Torino e si trasferisce a Roma insieme a Linda. I due, soggiogati dal mito della Dolce Vita, dilapidano velocemente il loro capitale. Sono costretti a trasferirsi dal quartiere Prati alla periferia di Centocelle. Linda riprende a lavorare come cameriera, ma i suoi guadagni non sono sufficienti per il tenore di vita della coppia. Una mattina di Luglio, mentre sta andando a pulire un’abitazione, Linda viene fermata da un uomo che le propone di lavorare come spogliarellista al Blue Moon. Ma come le viene in mente? chiede la donna. Io ho occhio per queste cose, risponde l’uomo. E così Linda cambia lavoro, ma non dice niente al suo partner. Alessandro non nota o finge di non notare gli strani orari lavorativi della fidanzata. Intanto investe tutto quello che gli è rimasto in una società che gestisce un pub nel quartiere universitario di San Lorenzo. Gli affari vanno bene e una sera, per festeggiare, Alessandro e i suoi soci si concedono una serata al Blue Moon. Quando Linda fa la sua apparizione sul palco gli eventi precipitano. Alessandro si lancia su di lei, i buttafuori si lanciano su Alessandro, Linda si lancia sui buttafuori. Alla fine la coppia torna a casa insieme. Discutono. Le risposte della donna sono così acide, e cattive, e violente, che lui decide di lasciarla. Linda se ne va quella notte stessa. Quando Casotti tornerà al Blue Moon, uno dei buttafuori gli rivelerà che Linda intratteneva una relazione con un industriale russo già da un mese prima della loro separazione. Intanto il pub di San Lorenzo continua a produrre utili. Alessandro e i suoi soci, che all’inizio si sono impegnati a lavorare come baristi e camerieri del locale che gestiscono, ora assumono dei dipendenti e si dedicano a tempo pieno prima al consumo e poi allo spaccio di cocaina, un business, all’epoca, in crescita. Il volume degli affari in un primo momento si incrementa, ma poi le cose si mettono male. Il traffico di cocaina viene a galla grazie alle indagini congiunte di poliziotti e finanzieri. Alessandro finisce in galera, ma in qualche modo riesce a uscirne. I suoi genitori pagano le spese legali e la cauzione, ma attraverso l’avvocato gli fanno avere il seguente messaggio: non farti mai più rivedere, per nessun motivo. L’avvocato, inoltre, gli consegna un libretto postale a nome Alessandro Casotti sul quale sono depositati cinquantamila euro. È il Gennaio del 1996, da quel momento le tracce di Alessandro si perdono per quasi nove anni. Lui sostiene di aver diretto, in quel periodo, una società di trasporti nell’America Latina, ma quando ne parla si mantiene sul vago, come se avesse paura di rivelare qualcosa di compromettente. In ogni caso, fa la sua ricomparsa a Roma, nell’autunno 2005: ha perso i capelli, si veste di nero e va in giro su una Jaguar Roadster del 1956. Annuncia l’apertura della casa editrice Maximum Fax al Maurizio Costanzo Show, quando ormai però lo show va in onda soltanto sul digitale terrestre e ha un seguito molto ridotto. Quando Costanzo gli chiede come gli sia venuto in mente di aprire una casa editrice e perché l’abbia chiamata Maximum Fax, Casotti sembra sviare la domanda. Sto frequentando una ragazza, dice. Ma ci parli della Maximum Fax, lo interrompe Costanzo. Beh, era proprio quello di cui volevo parlarle, dice Casotti sorridendo, insomma, le dicevo, sto frequentando questa ragazza, Veronica Daino, una ragazza molto colta: si è laureata con una tesi sul cinema delle Germanie divise e scrive poesie, fa anche la traduttrice, dall’inglese e dal tedesco, per la casa editrice Minimal. La casa editrice romana che pubblica Carver, interviene Costanzo. Certo, risponde Casotti, e proprio Carver sta al centro di questa storia. Lei è un fan di Carver? chiede Costanzo. No, è Veronica che è un fan di Carver, io non leggo molti libri, ma Veronica è estremamente testarda e mi ha costretto a leggerlo. Quali libri preferisce? chiede il conduttore. In linea di massima io non leggo libri, risponde Casotti. Costanzo a questo punto ride, coprendosi la bocca con la mano, ma senza sforzarsi di attenuare la risata. Eh, sospira il conduttore, scusi se glielo dico, ma mi sento in qualche modo in dovere di farle presenti i problemi che andrà ad affrontare nella sua nuova attività, cioè, non si può fare l’editore se non si legge, mi pare ovvio. Casotti stringe il nodo della cravatta con un gesto elegante e sorride di nuovo in direzione di Costanzo (il suo è un sorriso benevolo, un sorriso rilassato, un sorriso che sembra preludere a un futuro radioso) e dice, un editore deve essere sostanzialmente un incompetente di talento, e deve lasciar esprimere il talento degli altri, come ogni manager d’azienda del resto, dovrebbe fare questo, limitarsi a far sbocciare il talento degli altri, venerando questo talento come se fosse il Graal. Eh, eh, fa Costanzo, è una visione romantica la sua ma… il progetto, ci vuole un progetto sa, ci parli del suo progetto, se ne ha uno. Certo, risponde Alessandro Casotti, le raccontavo di Carver, ho letto tutti i suoi libri, tutti: racconti, poesie, saggi. E le sono piaciuti? I saggi e le poesie non mi sento di giudicarli, comunque erano abbastanza gradevoli, per essere dei saggi e delle poesie intendo, ma i racconti no, non mi sono piaciuti, non succede niente in quei racconti. Costanzo fa oscillare leggermente la testa e chiude gli occhi, per una frazione di secondo, come a dire con chi mi tocca parlare oppure come ci sono finito qui, sul digitale terrestre o anche non ho più l’età per certe cose. Poi si rivolge a Casotti: magari non è di suo gusto, ma io ci penserei un po’ su prima di sparare sentenze del genere, cioè, comunque Carver è considerato uno dei grandi della letteratura, è uno che parla della vita comune, questo sì, ma poi sotto ci sono tutta una serie di problematiche più profonde, che magari chi non ha una letto molti libri ha difficoltà a cogliere, cioè, le voglio dire, è un tipo di scrittura che sembra semplice ma che è anche molto raffinata alla fine, eh… L’editore guarda Costanzo un po’ di traverso, poi china il capo. Il conduttore fa spallucce, quasi come se si scusasse per aver messo in evidenza le lacune del proprio ospite. A quel punto, Casotti rialza la testa. Sta sorridendo per la terza volta, il suo è un sorriso larghissimo, che a differenza di quello precedente non invita i telespettatori (quelle poche decine di telespettatori che seguono il programma) a marciare con lui verso un futuro radioso, ma sembra piuttosto annunciare un futuro radioso e atroce insieme, verso il quale i telespettatori saranno costretti a dirigersi a passo marziale.

lunedì 5 aprile 2010

UN RACCONTO INEDITO DI ROBERTO BOLAÑO

Il racconto di Roberto Bolaño che potete leggere nel post precedente non è stato incluso finora in alcuna pubblicazione cartacea. Qualche mese fa è apparso sulla rivista letteraria 60watts.net in lingua originale, col titolo El contorno del ojo. Secondo Diego Zuniga, direttore di 60watts, si tratta di un racconto arrivato terzo al concorso "Premio Alfambra di racconti" organizzato dalla città di Valencia nel 1983. Zuniga aggiunge che Bolaño, in seguito alla partecipazione al concorso, conobbe lo scrittore argentino Antonio Di Benedetto, piazzatosi secondo, con il quale instaurò una relazione d'amicizia per corrispondenza. Questi eventi avrebbero ispirato all'autore cileno il racconto Sensini, facente parte della raccolta Chiamate telefoniche: quindi El contorno del ojo dovrebbe essere "la storia nella storia" di Sensini.
"La puttana assassina" ha trovato e tradotto questo racconto grazie alla segnalazione di archiviobolano.it.

IL CONTORNO DELL’OCCHIO di Roberto Bolaño.

Diario dell’ufficiale cinese Chen Huo Deng, 1980.

Giovedì. Una strana creatura simile a una mucca gigante, ma con un becco da anatra. Le parole del giornale mi si sono impresse nella mente, come un indovinello. Mi sono alzato alle cinque di mattina. Dopo essermi lavato ho tirato su la tenda: in lontananza, tra le scarpate, molto lontano dal villaggio, alcuni fuochi mi hanno ricordato gli accampamenti militari della mia adolescenza. Erano i carbonai. Più in là, verso ovest, tra boschi e campi coltivati, la linea ferroviaria e un treno illuminato a metà che si perdeva nella notte.

Martedì. Il commissario politico del villaggio è venuto a farmi visita. Erano le sette di mattina e la porta era aperta. Deve aver pensato che fossi sveglio, così è entrato. È rimasto sorpreso di trovarmi seduto per terra, faccia al muro, senza vestiti addosso. Appena mi sono voltato verso di lui ha iniziato a sbattere le palpebre e ha mormorato che era molto dispiaciuto. Gli ho detto che non importava. Il mio volto rasato di fresco contrastava con la sua faccia assonnata. Poi lui ha detto: buongiorno compagno Chen, e se n'è andato. Sono rimasto per qualche istante ad ascoltare il rumore dei suoi passi frettolosi sulla strada.

Giovedì. Ho trascorso la mattinata col medico. Mi ha chiesto come mi sentivo. Gli ho detto che stavo scrivendo un diario. Ha detto che anni prima aveva letto i miei diari giovanili. Gli ho detto che il diario che stavo scrivendo ora non era destinato alla pubblicazione. Ho scritto molti diari, gli ho detto, la maggior parte frutto della noia, spunti per la mia opera letteraria. Ha detto che sapeva che noi poeti scriviamo mille parole per salvarne una sola. Gli ho risposto che nel mio ultimo diario se ne salvava qualcuna in più e lui ha riso senza capire.

Venerdì. Oggi c’è stato movimento nel villaggio. Di pomeriggio un gruppo di uomini e di donne si è diretto verso il bosco che confina con la Fattoria; il resto della popolazione si è riunito in biblioteca ed è partito più tardi in direzione delle scarpate. Ho avuto paura di essere l’unico abitante rimasto nel villaggio. Ho visto me stesso, solo in casa, e poi ho visto la casa confusa tra le altre case vuote. Nella mia visione c’era qualcosa che non quadrava. Sono uscito in giardino a fumarmi una sigaretta e a pensare; nella casa di fronte si è aperta una finestra e un’anziana che non avevo mai visto prima mi ha sorriso. Sono rimasto lì per un bel po’; ho notato che le piante crescevano con straordinario vigore; in fondo alla strada un cane giocava da solo. Scesa la notte, gli abitanti del villaggio hanno cominciato a tornare. Quasi nessuno parlava, a eccezione dei bambini che sembravano allegri ed eccitati.

Giovedì. Per la strada principale del villaggio ho visto arrivare il commissario politico accompagnato da tre bambini. I bambini parlavano tra di loro e di quando in quando si rivolgevano al commissario. Ho pensato che andassero alla Fattoria. Compagno Chen, ha sorriso il commissario raggiungendo la casa, ma senza entrare, questi studenti devono scrivere un tema sui tuoi libri, ha spiegato: sii gentile con loro.

Compagno, ha detto uno dei bambini, il nostro compito di letteratura di questo mese sarà su di te. Gli ho detto che mi lusingavano, preoccupandomi di chiedergli se era stata un’idea loro o della maestra. Sembravano dei bambini molto seri. Il commissario se ne è andato subito. Mentre i miei ospiti si accomodavano nella stanza mi sono avvicinato alla finestra e l'ho visto allontanarsi lungo la strada della risaia, la testa china come se un grande problema gravasse sulle sue spalle. Il grigio del cielo sembrava malaticcio, venato di bianco, con tenui fosforescenze lungo la linea dell’orizzonte.

Martedì. Una strana creatura simile a una mucca gigante, ma con un becco da anatra è stata vista diverse volte dal mese di agosto in un lago vulcanico vicino alla frontiera con la Corea. Alcuni braccianti l’hanno potuta osservare a 40 metri di distanza, tuttavia non si sa ancora se si tratti di una specie acquatica o anfibia, non si sa come viva né perché questo singolare essere non sia stato notato prima del mese sopraccitato. È venuta a farmi visita la maestra. È una ragazza di una ventina d’anni. Sembra fragile, ma i suoi occhi sono forti e guarda in maniera decisa. Parliamo poco. I bambini, la scuola, la biblioteca. Ha detto che era un onore per loro che io vivessi qui per qualche tempo. Le ho detto che vivevo nel villaggio per prescrizione medica e poi ho aggiunto che avevo avuto un brutto crollo nervoso, che ero stato internato per un mese nell’ospedale militare di Nanning e che alla fine i medici e i miei superiori erano arrivati alla conclusione che la cosa migliore per la mia salute fosse passare un paio di messi in campagna, senza fare niente. Ha detto che già lo sapeva e che sperava che mi sarei ripreso presto. Poi ha proposto di fare una passeggiata. Mentre ci alzavamo ho avuto la sensazione impercettibile ma chiara che fosse angosciata. Abbiamo camminato fino a una collina da cui si scorgeva la Fattoria. All’improvviso ho sentito il desiderio di andarmene, di stare solo. Le ho detto che preferivo tornare, che ero stanco. È normale, ha detto lei. Una volta a casa sono rimasto sveglio fino a tardi ritagliando articoli da diversi giornali.

Giovedì. Wan. Un ragazzino di undici anni può vedere con i suoi occhi, come se fossero raggi X, il cuore, i polmoni e qualsiasi organo interno degli esseri umani. Il suo nome è Shie Zo Hue, vive nella città di Wan, nella provincia di Guizho, e il suo caso è stato esaminato dall’Accademia di Medicina della provincia di Hubel. Il ragazzino può vedere, per esempio, in che posizione si trova il feto di una madre incinta e in un’occasione ha detto di aver visto dei gemelli nel ventre di una donna e il risultato si è potuto verificare poco dopo. Un gruppo di ricercatori si è servito del ragazzo per fare delle radiografie che con altri metodi sarebbero state difficili o pericolose. Shie Zo ha già esaminato 105 pazienti negli ultimi mesi.

Martedì. La maestra mi ha invitato a cena. Arrivato a casa sua ho incontrato cinque persone tra cui conoscevo solo il commissario politico e il ragazzo che scende in città tre volte alla settimana con la corriera. Sono stato accolto con calore, con allegria. Durante la cena hanno parlato di questioni agricole. Una delle commensali, una contadina della Fattoria, ha detto diverse volte “si inonda la valle”. Non ho capito, nonostante l’attenzione che ho prestato alla conversazione, a cosa si riferisse. Dopo la cena la maestra mi ha preso in disparte; siamo usciti in giardino e mi ha chiesto cosa pensassi della guerra. Sono rimasto in silenzio, a studiarla: i suoi occhi erano pieni di lacrime. Dietro di lei le colline erano una macchia nera sotto la luna crescente, però allo stesso tempo erano una macchia mobile, instabile. All’improvviso ho sentito che non eravamo soli: gli altri si erano affacciati alla finestra e da lì ci guardavano con sorrisi trattenuti che si avvicinavano troppo alla pietà.

Martedì. Mi sono svegliato alle quattro di mattina, sudato e con la febbre. Sono uscito a camminare, il villaggio dormiva e si sentiva solo il latrato di un cane proveniente dalla strada per la Fattoria. Mi sono diretto alla biblioteca; aveva la porta chiusa ma non a chiave, come di consueto. Ho acceso una piccola lampada, ho cercato carta e penna e mi sono messo a scrivere. Nel giro di un’ora mi è venuto sonno, ma mi sono fermato ancora un po’ per terminare la prima stesura del mio rapporto. Poi ho spento la luce, ho lasciato tutto come l’avevo trovato e sono tornato a casa. Ho dormito fino alle nove di mattina. Mi ha svegliato il ragazzo che tornava dalla città per consegnarmi i giornali.

Domenica. Pechino. Tre persone sono morte calpestate dalla folla e altre dieci sono state ferite durante un festival di musica moderna, celebrato a Pechino due giorni fa, in occasione della “Festa della Luna”. Oggi si è scoperto che l'impresa responsabile del parco di Beihai, dove si è svolto il festival, ha commesso gravi irregolarità che hanno causato l'incidente. Il recinto era stato preparato per accogliere 25.000 persone, ma l'amministrazione del parco ha venduto esattamente 50.240 biglietti e ha invitato altre persone, fino a raggiungere la cifra di 60.000.

Domenica. Oggi mi sono incontrato con la maestra. Era mezzogiorno e io stavo leggendo fin dalla mattina presto in una radura, nel bosco, quando lei è apparsa preceduta da una quarantina di bambini. Si è seduta con me – nella radura ci sono delle panchine di legno costruite dagli abitanti del villaggio – intanto che i suoi alunni si dedicavano a raccogliere erba e muschio. Sembrava stanca. Mi ha chiesto cosa leggevo. Le ho risposto; dopo siamo rimasti in silenzio, lei evitava di guardarmi. All'improvviso, senza alzare lo sguardo, mi ha chiesto com'era la guerra. È molto dura, le ho detto. La gente muore. Quando mi ha guardato ho compreso che aveva gradito quello che avevo detto. Siamo tornati insieme, tra il baccano dei bambini, io senza capirci niente. Arrivati alla porta di casa mia ci siamo salutati. Sorrideva, alcuni capelli le erano rimasti appiccicati alla fronte. Sono rimasto immobile fino a quando non l'ho vista scomparire, prima le gambe, poi i fianchi, le spalle, la testa.

Sabato. È notte. Dalla mia finestra vedo i fuochi tra le scarpate. Mi chiedo chi siano i carbonai, da quale villaggio provengano, e come risposta mi immagino una pianura bianca. La maestra ha avuto un comportamento strano stasera. Io facevo un giro in bicicletta e lei passeggiava con un gruppo di persone lungo la strada per le risaie. Quando li ho raggiunti alcuni contadini mi hanno consigliato di non proseguire, perché era pericoloso percorrere quella strada in bicicletta. Gli ho chiesto da dove venissero. Hanno risposto che venivano dalle piantagioni di granturco che ci sono vicino alle risaie. Gli ho chiesto se fosse possibile, coltivare il mais vicino alle risaie, e hanno risposto di sì. Mentre parlavamo la maestra ha evitato il mio sguardo e quando ho deciso di tornare indietro con loro si è allontanata intenzionalmente dal gruppo insieme ad altre due donne. Dopo aver camminato un po’ mi sono voltato e ho visto solo due sagome. Stavo chiedendo agli altri dove fosse la maestra quando ho notato che uno dei contadini portava i guanti. Questa scoperta mi ha scosso a tal punto da impedirmi di dire altro durante il resto del tragitto. Ora è notte e forse un giorno di questi mi deciderò a visitare le scarpate. I fuochi sono minuscoli. A volte, tuttavia, la loro luminosità è accecante.

Lunedì. Nella Fattoria tutti stavano lavorando tranne il ragazzo della corriera. Mi sono seduto vicino a lui nel capannone e gli ho offerto una sigaretta. Finito di fumare ha detto che questo pomeriggio sarebbe andato in città, nel caso avessi qualche incarico da affidargli oltre a fargli ritirare i giornali che mi mandano da Nanning. Gli ho detto che non avevo bisogno di nulla. D’accordo, ha detto, un vero rivoluzionario è chi può rifornirsi nella cooperativa del suo villaggio. Lo ha detto sorridendo, scherzando. Gli ho risposto che questo non è il mio villaggio. In tal caso ha ancora più valore, ha detto. Mi sarebbe piaciuto sorridere, però non l’ho fatto. Dopo un po’ mi ha chiesto se sapessi quali sono gli alberi che crescono vicino alla recinzione. Gli ho detto che sono mandorli. Mi ha guardato con un sorriso raggiante e poi mi ha detto che sì, in effetti sono mandorli. Per un istante sono rimasto sconcertato, poi ho sostenuto con calma il suo sguardo fino a quando ha sviato gli occhi. Qualcuno ha fatto risuonare un vaso di ottone e io ho sentito una voce dentro di me che diceva sono le dieci di mattina.

Giovedì. Alcuni scienziati si sono insediati nella zona attratti dal fenomeno e un contadino chiamato Lai Jui Hua lo ha descritto così: “Ha la bocca come quella di un’anatra e la testa come quella di una mucca, ma molto più grande. Anche il corpo è enorme e si muove nell’acqua provocando onde simili a quelle delle barche”. Mi sono svegliato con la febbre. Per un bel po’ sono restato seduto sul letto, gli occhi fissi su un punto della parete, cercando di non pensare a nulla. Rivoli di sudore mi correvano lungo il torace e sentivo i capezzoli freddi come se ci avessero messo del ghiaccio.

Martedì. Ho la febbre, ma cerco di non darle importanza. Mentre scrivevo, il commissario è venuto a invitarmi a una riunione di carattere politico che si terrà dopo un pranzo in campagna. Gli ho domandato, un po’ irritato per essere stato interrotto, se in questo villaggio è consuetudine tenere le riunioni dopo aver mangiato in campagna. Ha tentennato e poi mi ha detto di sì. Una strana abitudine, ho mormorato, e lui mi ha confessato che funzionava così fin da prima della Rivoluzione Culturale. Non mi ha incuriosito per niente e quando il commissario se n’è andato ho ripreso a scrivere.

Giovedì. Sono venuti a salutarmi due comandi militari della città. Erano giovani ed erano nervosi. Li ho pregati di sedersi e mi sono scusato perché non avevo nulla da offrir loro. Hanno tirato fuori una bottiglia di vino e una di acquavite che mi avevano portato in regalo. Abbiamo aperto la bottiglia di acquavite; mi hanno trattato con riguardo e hanno dimostrato di aver letto le mie poesie. Anche uno di loro scriveva e dai versi che ha recitato sembrava avere talento. All’improvviso mi sono reso conto di aver dimenticato di togliere i ritagli di giornale dal tavolo e inevitabilmente questi hanno attratto la loro attenzione. Cosa vogliono dire?, hanno chiesto sorridendo. Non lo so, ho detto, sono notizie che ritaglio. Non hanno insistito e poco dopo abbiamo parlato di altro.

Giovedì. Di notte, prima di addormentarmi, tiro fuori per qualche momento i ritagli e li allineo sul tavolo. Poi mi ci siedo davanti e li contemplo. Sento appena il veicolo dei militari che tornano da Nanning. “Il Youjiang è cresciuto quest’anno”, ha detto uno di loro andandosene. Cosa vuol dire, in realtà? Il mostro ha un becco da anatra, leggo. Questo non può stupirmi né meravigliarmi tuttavia intuisco che dietro queste parole c’è qualcosa che può provocarmi un’emozione più intensa. In alcuni momenti ho la certezza di seguire la pista giusta, in altri credo solo di essere malato.

Martedì. Wu Yunquing, 142 anni, residente a Quinghuabain, provincia di Shaanxi, passeggia in bicicletta per le strade della sua città natale. Per Wu, il segreto della sua longevità risiede nel suo ottimismo, nell’esercizio fisico e in uno stile di vita equilibrato. Secondo lui, questo equilibrio include quattro o cinque ore di sonno al giorno, possibilmente da seduto. Ritaglio anche la foto: si vede un anziano dalla barba bianca, su una bicicletta, che guarda in direzione della macchina fotografica.

Mercoledì. Ho partecipato al pranzo in campagna e poi alla riunione. Il pranzo è stato abbondante, il vino e i brindisi non sono mancati. Dopo ci sono stati due oratori, il commissario politico e una contadina che lavora nella Fattoria. Il discorso di quest’ultima è stato strano, ce l’aveva scritto e il titolo era: “Che fare quando la pioggia ci sorprende per strada?” A metà del discorso, pieno di luoghi comuni, di reiterazioni e di descrizioni minuziose di ferri e utensili da lavoro, mi sono addormentato appoggiato al tronco di un albero abbattuto. A un certo punto, nel sonno, sento la sua voce che dice che la persona che viene sorpresa dalla pioggia deve scavare una buca, mettercisi dentro e poi coprirsi di terra. Mi sono svegliato di soprassalto. Non se n’era accorto nessuno, a eccezione del commissario politico; la sua espressione era una strana mescolanza di ironia e paura. Quando la contadina ha terminato il discorso il commissario ha aspettato che io applaudissi prima di farlo anche lui.

Giovedì. Sugli incidenti del parco Beihai: il capo della sicurezza aveva avvertito i responsabili del parco che vendere più ingressi di quelli concordati avrebbe potuto causare disordini… Alcune canzoni all’ultima moda, cantate in inglese, hanno provocato una forte eccitazione tra il pubblico giovanile… Gli spettatori sono usciti dal recinto disordinatamente, spingendo e sgomitando, e circa sessanta persone sono state calpestate. Tra i dieci feriti, quattro sono gravi.

Giovedì. Il militare più giovane, il poeta, ha detto che la realtà è la cultura. Io guardavo dalla finestra il movimento appena percettibile del villaggio. Per la strada principale due bambini si allontanavano portando qualcosa tra le braccia; dalla parte opposta venivano due donne che spingevano un carretto; parlavano a voce alta, se la ridevano. L’altro ufficiale ha detto qualcosa a proposito delle arme batteriologiche. Non gli ho prestato attenzione, ricordo solo di aver annuito mentre un leggero spostamento in lontananza, tra le scarpate, catturava il mio interesse. Era come se il paesaggio venisse spinto di lato e sostituito da un altro perfettamente uguale, ma nuovo. La sera sono stato a casa del commissario. Vive con sua moglie e con cinque figli, che hanno tutti meno di dieci anni. Gli ho chiesto che razza di assemblea fosse stata quella di ieri. Sua moglie mi ha guardato come se lo avessi minacciato di morte. Il commissario ha detto che non era stata un’assemblea ma una festa. Quando gli ho ricordato che il pomeriggio tutti avevano lavorato, ha aggiunto che si era trattato di una festa minore. La tradizione, ha detto, è quella di celebrarla per metà giornata, con un pranzo collettivo. A mezzanotte, mentre finivo di leggere un libro di divulgazione scientifica e mi preparavo a riesaminare i miei ritagli di giornale, hanno bussato alla porta. Sono rimasto seduto, fermo, non ho voluto rispondere. Hanno continuato a bussare, debolmente, come se non volessero disturbare. Ricordo di aver chiuso gli occhi e di aver desiderato che chiunque fosse credesse che non ero in casa, anche se la luce accesa mi tradiva. Poi la porta, aprendosi, ha fatto un suono stridulo e dei passi leggeri sono scivolati sul pavimento fino a fermarsi a pochi metri da dove mi trovavo. Ho aperto gli occhi: la maestra ha spento la luce e mi ha spogliato senza dire una parola. A tentoni, ho messo via i ritagli, ho lasciato la cartella sul tavolo, ho chiuso la tenda, mi sono diretto con cautela verso il letto. I suoi seni erano piccoli e larghi e ha singhiozzato mentre la penetravo. Poi siamo rimasti abbracciati nell’oscurità parlando di cose semplici, i problemi della scuola, la biblioteca - ha insistito per sapere cosa ne pensassi -, i bambini, la Fattoria, i carbonai che lavorano di notte. A questo punto le ho chiesto perché lavorassero di notte e non ha saputo rispondermi.

Venerdì. Il ragazzo della corriera arriva alle otto di sera da Wuming. Mi avvicino a lui per farmi consegnare i giornali. Il suo viso è pallido e smunto. Con un sorriso mi dice di essere malato. Gli chiedo se è stato dal medico e dice di sì. Ha la diarrea e la febbre. Gli dico che non dovrebbe guidare in questo stato. Risponde che andrà a letto, appena avrà finito di parlare con me. Di sera lavoro in biblioteca, fino all’una. Quando esco ho la sensazione che il villaggio sia vuoto. A metà strada la sensazione si fa più intensa, così come il desiderio di entrare in qualche casa per accertarmene. Comunque, sono in grado di controllarmi, di arrivare fino a casa mia, di spogliarmi, di pensare.

Sabato. Durante la mattinata ho riguardato i ritagli. Il bambino di Wan, il mostro del lago, l’anziano che va in bicicletta, gli incidenti del parco di Beihai. Cos’hanno in comune queste notizie? Ne ho ritagliate altre, però quelle ricorrenti, quelle che mi ritornano alla memoria come spie rosse, sono solo queste quattro.

Giovedì. L’ufficiale ha parlato di armi batteriologiche. Gli ho chiesto a che tipo di armi si riferisse. Quando mi ha guardato i suoi lineamenti hanno iniziato a dissolversi come se una nebbia azzurra lo stesse avvolgendo. Ho pensato: compagno, stai scomparendo.

Venerdì. Di mattina è venuto a visitarmi il medico. Se n’è andato proprio mentre arrivava la maestra. Ho ascoltato come si salutavano sulla porta e poi un lungo silenzio al quale i loro volti, inespressivi, fragili, si adattavano perfettamente. Entrando in casa la maestra mi ha detto che mi trovava bene. Le ho domandato perché lo credesse. Ha risposto che il medico le aveva detto che la mia salute era buona; inoltre, sapeva che scrivevo ogni giorno, un sintomo eccellente.

Sabato. Nel pomeriggio un primo gruppo di persone si è incamminato lungo la strada per la Fattoria. Poco dopo un altro gruppo si è diretto verso le scarpate e il villaggio è rimasto praticamente vuoto. Questa volta volevo sapere dov’erano diretti e così ho deciso di seguire il secondo gruppo: ho preso una bicicletta che qualcuno aveva lasciato vicino alla cooperativa e ho pedalato in direzione delle scarpate. Arrivato alla prima svolta ho capito che non li avrei raggiunti: a un certo momento avevano lasciato la strada e adesso, per raggiungerli, sarei dovuto tornare indietro e avrei dovuto trovare il punto in cui avevano deviato. Mi è sembrato inutile e sono rientrato al villaggio. Mentre passavo davanti casa mia, l’anziana che abita di fronte ha aperto la finestra e ha sporto la testa come se cercasse di acchiappare qualcosa con la bocca. Mi sono accorto, proprio allora, che era cieca. Ho lasciato la bicicletta dove l’avevo presa e sono tornato a piedi.

Lunedì. Il vulcano eruttò tre volte tra il 1597 e il 1702 e le piogge frequenti e la neve trasformarono il cratere in un lago di 10 chilometri quadrati e 373 metri di profondità. Stando a quello che hanno detto i lavoratori che conoscono la zona, l’abbondanza dei microrganismi nel lago potrebbe benissimo essere la causa della presenza di animali acquatici. Le piante del giardino danno l’impressione di un’immobilità perfetta. Ho pensato alla bicicletta di Wu Yunquing, alla sua barba bianca, quasi finta. Nato nel 1838. La giornata è piena di nubi minacciose, fa caldo. Per un momento ho creduto che i ritagli si proiettassero sulle scarpate. Ho chiuso gli occhi; l’immagine ha tardato a svanire. Alcune persone affermano che Shie Zo vede normalmente tutte le persone nude a causa del potere dei suoi occhi. All’improvviso comincia a piovere e allora so di essere l’unico che presta attenzione a quello che sta succedendo. Questa può essere la fine, penso. In quel momento la pioggia cessa.

Lunedì. Non potrò mai stabilire una relazione tra i ritagli; in che modo si collega la strana creatura del lago con i disordini del parco Beihai? In che misura il miracoloso potere di Wan ha la stessa natura della longevità di Wu Yunquing? So solo che succedono cose molto insolite (straordinarie). Mentre il militare più giovane recitava qualcosa di Mao Dun, ho osservato che la vita nel villaggio è sempre uguale a sé stessa. La maestra usciva dalla scuola circondata dai bambini e guardava in direzione di casa mia, senza vedermi. La corriera rimaneva parcheggiata vicino alla cooperativa. Più in là giocavano due cuccioli di cane, e un bambino, con una palla in mano, li osservava. Il colore del cielo era di nuovo grigio e lungo il fianco delle scarpate mostrava delle frange fosforescenti, ripugnanti, come se quella parte del cielo avesse la lebbra. Ho provato una profonda, indefinita, pietà. Senza perdere il sangue freddo ho corso verso il patio sul retro e ho vomitato. Gli ufficiali sono usciti a cercarmi e hanno tentato di portarmi al bagno, ma non gliel’ho permesso. Mi è bastato guardarli, con le labbra ancora sporche di bile, perché non avanzassero di un altro passo. Poi ho mentito: non sono più abituato a bere, ho detto.

Lunedì. Non sono malato. Il mio nome è noto in tutte le province del Paese. Ho 45 anni e da 15 presto servizio nell’esercito. Ho ricevuto molteplici decorazioni. A 25 anni ho pubblicato il mio primo libro e da allora la mia produzione letteraria è stata ininterrotta. Sono sano e forte, ho dimostrato a me stesso che posso resistere alla fame e al dolore. Per sei anni ho vissuto in Vietnam dove sono stato consigliere dell’esercito popolare nella lotta contro gli imperialisti e i loro lacchè. Ho vissuto a Hoa Binh e Phat Diem; nel 1971 sono stato ferito in un villaggio vicino a Phu Dien Chau e sono tornato nel mio Paese. Nel 1979, durante il conflitto bellico cino-vietnamita, ho combattuto contro i miei vecchi alleati. La mia divisione era stanziata a Jinxi e io facevo parte dello Stato maggiore. Finita la guerra sono stato assegnato A Nigming, vicino alla frontiera, e in poco tempo mi sono ammalato. Stavo nell’ospedale militare di Nanning dove il mio recupero è stato rapido; dopo, per volere dei medici e col beneplacito dei miei superiori, sono stato mandato in questo villaggio per riposare.

Venerdì. Dalle cinque di mattina fino alle dodici sono rimasto seduto a terra, nudo, cercando di pensare. È difficile; a volte il corpo sembra un buco e tutto il resto, le idee, le parole, le scoperte, sono come gioielli, belli ma superflui. Se avessi tempo, ho pensato, mi piacerebbe trasferirmi a Pechino e indagare a fondo sugli incidenti del parco Beihai. Una sola domanda: chi ha autorizzato la vendita degli ingressi? E perché? A questa seconda domanda, certo, potrei rispondere se riuscissi a interpretare correttamente i ritagli.

Sabato. Sono uscito di mattina. Mi sono procurato una bicicletta nell’officina della Fattoria e sono partito subito. Il ragazzo della corriera mi ha visto abbandonare il villaggio e ha gridato qualcosa di incomprensibile. Mi sono voltato a guardarlo, non mi sono fermato. Mi è corso dietro per un tratto ma dopo qualche minuto ha desistito; dallo specchietto retrovisore sono riuscito a vedere che mi diceva addio con le braccia. Ho pedalato per tre ore in direzione delle scarpate e poi mi sono fermato a riposare. Ero zuppo di sudore però mi sentivo bene. La bicicletta era vecchia e aveva il telaio arrugginito, però reggeva; era pesante e resistente, una di quelle che si costruivano una volta. A mezzogiorno sono arrivato a una collina povera di vegetazione da dove ho intravisto un villaggio. Ho preso il binocolo e ho messo a fuoco le vie per un po’. Neanche una persona, nemmeno un movimento. Un chilometro più avanti la strada si biforcava. Un sentiero, quasi nascosto dal bosco, portava al villaggio; l’altro proseguiva verso le scarpate. Ho notato l’assenza di suoni, la quiete che sembrava pendere dai rami più alti degli alberi. Ho pensato testualmente: la quiete pende da un ramo, e ho avuto un giramento di testa. Mi sono mantenuto in piedi, perplesso, come se mi trovassi in un bosco di enigmi e dovessi cercare di non perdere il senno. Alla fine sono rimontato sulla bicicletta e mi sono allontanato in direzione delle scarpate.

Martedì. La maestra è venuta a mezzogiorno. Portava i temi che i suoi alunni avevano scritto sulle mie opere. Me li ha dati, sorridendo, e ha aspettato che li leggessi. Che te ne pare? Compagna, le ho detto, mi fanno venire voglia di piangere. Allora piangi, ha detto lei. Ci siamo spogliati e abbiamo fatto l’amore. Poi lei ha detto, ridendo, che non l’aveva mai fatto a quell’ora. Attraverso la cornice della finestra ho visto un cielo grigio, di una lucentezza opaca, e ho pensato che era strano che non mi turbasse.

Martedì. Al calare della notte la maestra è tornata a casa mia. Abbiamo mangiato insieme, abbiamo lavato i piatti, ci siamo seduti a lavorare allo stesso tavolo; lei preparava le sue lezioni e io scrivevo gli ultimi paragrafi del mio rapporto. Nel silenzio della mezzanotte ho sentito passi di persone che si dirigevano alla casa vicina. Le ho chiesto cosa succedeva. Ha detto che la vecchia cieca era malata. In pochi minuti era tornato il silenzio. Era il medico? Ho chiesto. No, ha detto lei, il medico vive a Wuming, era gente del villaggio. Mi sono messo a letto pensando alla vecchia. Attraverso il buco della tenda vedevo la maestra curva sul tavolo. Ho chiuso gli occhi e ho sorriso, i bambini avevano scritto “ottimismo e fiducia nel futuro”. Ho provato a ricordare, non so per quale ragione, la faccia del giovane ufficiale e poeta, e al suo posto sono apparse le figure dei bambini che circondavano il commissario politico alla fine della strada. Tremavo, mi ha raccontato lei il giorno seguente. Mi sentivo felice.

Venerdì. Mi sono svegliato alle sei di mattina. Ho detto alla maestra che non doveva essere stato facile per gli abitanti del villaggio sopportare la mia presenza. Mi ha guardato sorpresa. No, ha detto, i contadini sono generosi. Temevano soltanto che non ti sentissi bene. Mi sento bene, le ho detto. Prima di andarsene mi ha accarezzato una mano. Non mi sono mosso dalla porta fino a quando non l’ho vista sparire per una via laterale. Dappertutto si vedeva gente che lavorava. Sono uscito nel patio sul retro e mi sono lavato con secchi d’acqua fredda. Ho sentito il desiderio di cantare. Naturalmente, non l’ho fatto.

Sabato. Alle sei del pomeriggio ho avvistato un altro villaggio. Stavo osservando il villaggio da un albero, con gli stessi risultati della volta precedente. Era strano, alla mia destra diventava sempre più forte il rumore di un fiume, come se il Youjiang avesse straripato, sebbene io sapessi che il Youjiang si trovava almeno a 25 chilometri alla mia sinistra. Il caldo era insopportabile e minacciava di venir giù un acquazzone. Questa volta era inevitabile passare per il villaggio, a meno che non ci girassi attorno, ma in questo caso avrei dovuto lasciare la bicicletta. Sono entrato lentamente, a passo d’uomo, col timore di turbare il silenzio che regnava. Quando ho superato la prima casa ha iniziato a piovere. Quasi all’istante l’acqua ha formato una cortina così densa che impediva qualsiasi tipo di visibilità. Ho lasciato la bicicletta appoggiata vicino a un abbeveratoio e sono entrato correndo nell’abitazione più vicina. Non c’è stato bisogno di bussare, la porta era aperta e mi è bastata una sola occhiata per capire che lì non viveva nessuno. Quando la pioggia è diminuita sono entrato nelle altre case: erano tutte disabitate da molto tempo. Mi sono seduto a terra, sotto la gronda di una capanna, e ho aspettato. Quando ho deciso di proseguire era buio. Mentre cercavo la bicicletta ho notato che tra le scarpate c’erano già i primi fuochi dei carbonai. Carbonai nella provincia di Kuangsi? nonostante la pioggia? Ho preso il binocolo e ho messo a fuoco fino in cima. I fuochi balenavano appena. Mi sentivo febbricitante, tuttavia ho proseguito.

Sabato. Due chilometri più avanti la strada terminava vicino a un pozzo. Intorno al pozzo avevano creato una specie di spiazzo e su entrambi i lati c’erano panchine di legno, ammuffite, con le spalliere decorate con motivi floreali. Mi sono seduto su quella di sinistra. Sapevo che alle mie spalle i fuochi crepitavano sebbene non potessi sentirli. Il rumore sordo del fiume si imponeva su qualsiasi altro suono.

Domenica. La tonalità del cielo è la stessa di ieri e dei giorni passati. Di mattina stavo seduto in giardino, con un libro sulle ginocchia, mentre i contadini andavano a lavorare alla Fattoria o alla risaia e diverse ore dopo tornavano dalla Fattoria e dalla risaia e incrociandosi si salutavano o si fermavano a parlare. Alle cinque di pomeriggio il ragazzo della corriera è venuto puntualmente a consegnarmi il pacco dei giornali. Quando stava già per andarsene gli ho chiesto se si fosse rimesso; mi ha guardato sorridendo, senza capire. Stai bene, ora?, gli ho gridato. Si!, ha detto, e la corriera si è allontanata per la strada.

Domenica. Non ho aperto il pacco dei giornali. So che troverei notizie da ritagliare e ormai non importa. Qualcuno si occuperà di bruciare i ritagli che ho conservato e il mio diario. Forse qualcuno si farà avanti e non permetterà che questo succeda. Sospetto che le due possibilità abbiano più di qualcosa in comune.

Lunedì. Mi preparavo a fare una passeggiata quando è arrivato il commissario. Gli ho detto che volevo camminare, che se non gli dispiaceva potevamo fare una passeggiata insieme. Ha accettato con piacere. Abbiamo preso la strada della Fattoria fino ad arrivare al bosco. Mi dica, gli ho chiesto, come si chiama questo bosco. Il commissario ha sorriso con timidezza. Non ha nome, ha detto. Ci siamo seduti a parlare nella radura. La conversazione è stata misurata. Il commissario guardava beatamente i rametti sparsi per terra mentre io cercavo i rami più alti, gli squarci incerti di cielo. Quasi un segno, ho pensato. All’imbrunire siamo tornati a passo lento al villaggio.

Lunedì. Mi sono avvicinato alla finestra della casa vicina. Non era completamente buio e ho potuto vedere l’anziana seduta su una sedia mentre un bambino controllava la padella sopra un fornello a legna. Buonanotte, ho detto, mi fa piacere vederla ristabilita. Chi è? Ha detto l’anziana. Il bambino ha guardato sorridendo e poi è tornato a controllare quello che stava cucinando. Il mio nome è Chen Huo Deng, ho detto. Ah, il soldato, ha sospirato lei. Sono una vecchia asmatica però non posso ancora morire. Mi sembra giusto, ho detto.

Lunedì. Sopra il tavolo ho lasciato in ordine tutto quello che ho scritto in questi giorni. Qui c’è il mio rapporto posticipato e cinque poesie. Sul tavolo rimarrà anche questo diario. Non nascondo nulla. (Per di più, sarebbe inutile.) Vicino ai miei scritti ho lasciato una breve nota segnalando che devono essere consegnati allo Stato maggiore dell’esercito, a Nanning. La casa, che tanto gentilmente mi è stata prestata dal comitato del partito di questo villaggio, la restituisco nelle stesse condizioni in cui mi è stata ceduta. Per il resto, tutto quello che possiedo è dell’esercito. Ora andrò a camminare - è già passata la mezzanotte - fino ad arrivare al bosco. Spero di avere la pazienza di cercare un ramo alto e resistente, nascosto dal fogliame, e impiccarmi.